domenica 30 dicembre 2012


Questo luogo lieve e maestoso, con il suo pacato disordine prospettico è indissolubilmente legato, nella mia memoria più antica, intendo proprio nel suo angolo più riposto e infantile, alle feste natalizie e di fine d'anno. Da qui mi piace mandare i miei auguri a tutti, a coloro per i quali hanno un senso, e anche a coloro che non amano queste feste, e certamente con più di una ragione, per quel che sono di ritualmente retorico e di aridamente consumistico, e anche di umanamente frustrante. Il mio infantilistico e un po' ingenuo ottimismo, che non mi abbandona, mi porta ogni anno a considerare il piccolo evento meramente cronologico convenzionale, al quale attribuiamo il valore simbolico di festa, come una soglia, aldilà della quale potrebbe esserci quel quid noui, la speranza, se non l'aspettativa del quale strenuamente credo non debba abbandonarci mai. So bene, ho piena consapevolezza che questa speranza, per non dire dell'aspettativa, sarà con ogni probabilità tradita; che, anzi, il peggio non sembra affatto disponibile a fare un passo indietro, una volta tanto. Ma se dalla barcaccia guardo su verso Trinità de' Monti le nubi si diradano un po', tanto da permettermi di trovare l'energia per dire a me stesso che sarà pur vero che la stupidità e la malvagità, sorelle indissolubili, guidate dall'egoismo, che ne è il padre, instancabile loro pedagogo, riescono a renderci la vita amara, sarà pur vero che la naturale fragilità della nostra condizione umana minaccia senza riposo la nostra tranquillità, ma è anche vero che a tutto questo è possibile rendere difficile la partita.



Piazza di Spagna in una veduta di autore indeterminato del XVIII secolo

sabato 29 dicembre 2012


Venezia dinverno sammanta di discrezione, e chiede affetti esclusivi. Ama la luce soffusa, si veste di nebbia, che filtra i colori dei palazzi sul Canal Grande — e capisci, finalmente ne capisci il perché. Oppure una più tenue foschia, diafana rifrange i raggi di un sole che finge tepore. Alle Zattere si va per cercare la luce, unazzurra luce invernale, intrisa dumido azzurro, si va per cercare lo sfavillìo delle onde al passaggio dei vaporini, si va per cercare il sapore neutro della panna in ghiaccio, passeggiando con indolenza, gli occhi semichiusi rivolti alla Giudecca, quasi una terra promessa, o a San Giorgio, al suo campanile proteso. Vorresti attraversare il canale, raggiungere lopposta sponda, ritrovare quel che conosci, ma poi ti accontenti di un prolungato sguardo, quanto è lungo landare fino alla punta della Dogana.
Venezia dinverno sopporta solo sguardi complici, di chi abbia un cuore che batta al ritmo lento e pacato del remo del gondoliere che mi traghetta in Canal Grande, di chi percepisca il suono insolito dei passi nelle calli, e per questo, soltanto per questo trattiene il respiro, di chi si soffermi davanti ad uno squero antico, sì quello dietro San Barnaba, di chi si conforti al vociare dei ragazzini, che a Santa Maria Formosa rincorrono chiassosi un pallone.
Venezia dinverno si lascia amare, languida di luce sontuosa. Venezia dinverno esige devozione, quando corrucciata savvolge nel suo velo lattiginoso e gelido, tavvolge, ti attira, tingiunge di non infliggerle lonta di sottrarti ad un abbraccio cui altera si concede.
Venezia dinverno è lontana, forse non esiste più, forse s’è dissolta nella sua stessa caligine; ma so che non è sogno.

giovedì 27 settembre 2012

Dio e Sallusti

La condanna di Sallusti per diffamazione a mezzo stampa ci avverte che talvolta Dio paga il sabato.

venerdì 13 gennaio 2012

Archeologia

L'archeologo affonda
il suo piccone dentro abitazioni
vuote da tanto tempo,

dissotterrando indizi
di maniere di vita che nessuno
oggi si sognerebbe di condurre

e sulle quali non ha molte cose
da dire che sia in grado di provare -
che gran fortuna, questa!

La conoscenza può mostrarsi utile,
però è più divertente fare ipotesi
piuttosto che sapere.

[...]

Coda

Dall'Archelologia
possiamo trarre almeno una morale:
cioè che tutti i nostri

libri di scuola mentono.
Ciò che chiamiamo Storia non è nulla
di cui poter vantarsi,

in quanto è stata fatta
dal criminale in noi:
la bontà è senza tempo.

Archeologia, da W. H. Auden, Grazie nebbia. Ultime poesie, edizione con testo a fronte a cura di A. Gallenzi (titolo orig. Thank You, Fog. Last Poems [1972], Milano, Adelphi, 2011, pp. 29-33.